In questi mesi molti Chirurghi plastici si sono visti recapitare accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate in relazione alla mancata applicazione dell’IVA in relazione alle prestazioni mediche fornite.
Molti di questi accertamenti sono da considerarsi illegittimi e, per effetto, le pretese tributarie ivi contenute devono ritenersi non dovute.
Tali accertamenti sanzionatori scaturiscono dalla sentenza della Corte di Lussemburgo - causa C-91/12 - del 21.03.2013, in forza della quale le prestazioni di servizi consistenti in operazioni di chirurgia estetica e in trattamenti di carattere estetico dovevano ritenersi incluse nelle nozioni di cure mediche o di "prestazioni mediche (alla persona)", e quindi esenti da iva, solo a condizione che tali prestazioni avessero lo scopo di diagnosticare, curare o guarire malattie o problemi di salute o di tutelare, mantenere o ristabilire la salute delle persone che, a seguito di una malattia, di un trauma oppure di un handicap fisico congenito, avessero bisogno di un intervento di natura estetica. In tutti gli altri casi, invece, laddove l'intervento dovesse rispondere a “scopi puramente cosmetici”, l’iva andrebbe applicata.
La questione centrale è quindi l’individuazione dello scopo cosmetico o estetico del trattamento.
La Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna con sentenza n. 9/2018 ha riconosciuto l’esenzione Iva per tutte le prestazioni effettuate da medici chirurghi estetici.
Secondo questa pronuncia, per noi pienamente condivisibile, le prestazioni mediche di chirurgia estetica devono intendersi esenti da Iva in quanto sono “ontologicamente connesse al benessere psico-fisico” del soggetto che riceve la prestazione e quindi alla tutela della salute della persona.
La valutazione della natura delle prestazioni mediche/cosmetiche spetta al medico che esegue l’intervento e non è verificabile in modo oggettivo.
Consentire all’Agenzia delle Entrate di sindacare tale valutazione, genererebbe il concreto rischio di arbitrarietà fiscale e distorsioni della concorrenza, sia all’interno del territorio nazionale che tra i Paesi dell’Unione europea, in contrasto con il principio di neutralità dell’Iva; il rischio di discriminazioni fiscali per i contribuenti residenti nelle diverse regioni del Paese; nonchè una situazione di obbiettiva incertezza normativa, con l’effetto di rendere illegittimo il provvedimento sanzionatorio, come espressamente previsto dall’art. 6, c. 2, D.Lgs. 472/1997, dall’art. 8 D.Lgs. 546/1992 e dall’art. 10, c. 3 L. 212/2000 (Statuto del contribuente).
Peraltro, il sindacato dell’Agenzia delle Entrate rischierebbe di violare anche la privacy dei pazienti traducendosi in una massiva e incontrollata produzione documentale.
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